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“Migro” per sapere

Nel corso degli anni è cresciuto il numero degli studenti - della scuola secondaria superiore, dell'università - che compiono parte del loro percorso di formazione all'estero o in altre città d'Italia. Se anche tu sei uno di loro, saremmo lieti di ospitare su questo blog un tuo contributo, dove racconti, proprio alla luce della tua esperienza, quali dei servizi di cui hai potuto usufruire altrove vorresti che fossero disponibili anche a Siena, e quali, invece, tra quelli già presenti nella tua città, ritieni che possano essere migliorati
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Vince il migliore?

Sempre più spesso sentiamo parlare dei cosiddetti episodi di “bullismo” o “baby-gang”, in maniera più generica descritti come il risultato di un diffuso disagio che interessa i ragazzi con età prossima o di poco superiore ai quattordici anni.

Il fenomeno è in evoluzione, amplificato come sempre dai social media i quali, com’è noto, giungono senza filtri alla portata di chiunque oggi disponga di un collegamento alla rete…in effetti la quasi totalità della popolazione.

Addirittura, vengono coniati termini nel tentativo di studiare i protagonisti di queste vicende; ad esempio, i maranza, derivato da tamarro o coatto. A tal riguardo, qualcosa in più lo apprendiamo sempre dalla rete (ahinoi), ove questa categoria di giovani viene definita molto sinteticamente come composta da bulletti provenienti dalla periferia, con destinazione i centri urbani di riferimento. Questi ragazzi, aggiungiamo noi, una volta giunti appunto in centro città, sono individuali poiché mostrano look particolari, tendono a manifestare atteggiamenti improntati alla prepotenza (spesso verso coetanei), e sono propensi alla commissione di crimini di minore entità, variamente fastidiosi, sicuramente lesivi del decoro e della vivibilità urbana.

Sommariamente descritto il fenomeno complessivo, il quesito è cosa possiamo fare per contrastare questa tendenza? Un genitore, un insegnante, una figura adulta che comunque sia chiamata ad approcciarsi con questi ragazzi nel tentativo di prospettare loro un modello di riferimento più consono a canoni comportamentali orientati al rispetto delle regole e del prossimo, su quali strumenti può contare?

Verrebbe da rispondere a questa insidiosa domanda con il classico richiamo all’esempio, ma forse qualche riflessione in più si potrebbe offrirla. Può aver senso parlare di seduzione e competizione?

Dunque, quale comportamento risulta più seduttivo tra la frequentazione di una discoteca, con tanto di belle ragazze (rectius ragazzine) e consumo di ogni genere di sostanza (!) e la partecipazione a un incontro culturale, magari in qualche noiosa biblioteca? Come potrà mai vincere una soporifera sala lettura, rispetto a una frizzante serata di sballo?

Ancora, chi risulterà vincente tra il discorso di un genitore (ammesso che abbia il tempo necessario per affrontarlo) o gli insegnamenti di un docente, rispetto ad una libera chiacchierata con un coetaneo, magari su questioni attinenti al tale videogioco, l’ultima delle applicazioni per i telefonini per chissà quale finalità o addirittura i primi approcci verso la sessualità?

La risposta è chiara, sarà senz’altro l’opzione più divertente, più accattivante, più seducente ad avere la meglio. Il terreno sul quale si svolgerà l’immediato confronto, sarà la seduzione, una vera e propria competizione.

Il ragazzo, naturalmente, ma molti di noi in realtà, seguirà il comportamento più seducente, più affascinante, più stimolante, in una competizione che avrà la durata di pochi millisecondi, soprattutto si svolgerà in maniera spesso occulta agli interessati e durante tutto l’arco della giornata, in maniera spietata.

Questo è il tema portante della breve riflessione: essere seducenti, conquistare, vincere una competizione con pochissime regole, con soggetti ad armi impari; riuscire ad attrarre il ragazzo, magari distratto, portandolo a trovare affascinante (quindi a seguirla) una opzione che, invece, potrebbe risultare povera di stimoli se non adeguatamente veicolata. Portare a casa l’obiettivo!

Non è semplice, ma sapere e ricordarsi di vivere in una diuturna competizione, forse potrebbe aiutare a portare a casa l’obiettivo!

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Come?! Scusa?! Non ti followo…l’italiano dei giovani secondo la Crusca

Ma che cos’è una parola? Servono ancora le parole oggi? Servono ai giovani? E a noi tutti che adolescenti non siamo più?

Ma andiamo con ordine, così posso spiegarVi come sono arrivato a queste domande filosofiche delle cento pistole. Si perché mi sono posto dei problemi e, come al solito, non ho trovato che soluzioni parziali le quali a loro volta sono state incubatrici di molte altre domande senza risposta. Ho solo concluso, felicemente, che devo farmele. Come spero sinceramente Voi al termine di questa lettura, da qualunque punto di vista mi stiate osservando.

Ventiduesima settimana della lingua italiana nel mondo. L’italiano e i giovani. Come scusa? Non ti followo, è disponibile da ieri sul sito dell’Accademia della crusca. Gratuito, per tutti. Duecentotrentasei pagine ben fatte, che sarebbe utile consigliare a tutti. https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/litaliano-e-i-giovani-come-scusa-non-ti-followo-il-libro-edito-dall-accademia-in-occasione-della-ven/29993

Per il sottoscritto, le giornate piene di questa settimana sono state l’occasione per compiere un viaggio nella parola. Dapprima ci sono state le parole della pace, quelle del Festival ‘La parola che non muore’ di Bagnoregio e Montefiascone, cui ho partecipato https://www.ilmessaggero.it/viterbo/a_bagnoregio_torna_la_parola_non_muore-6987018.html

Ho incontrato ragazzi e ragazze dei licei di alcune città italiane e alla fine eravamo d’accordo su una cosa. Non è poco, La cosa su cui eravamo d’accordo è che le parole contano. Eccome. Quelle della pace contano moltissimo, perché la guerra è un’assenza di parole, un silenzio violento che nasce da parole non dette, o dette male, o semplicemente non comprese. Se le parole fossero quelle giuste non ci sarebbe bisogno di fare la pace, perché non si farebbe la guerra. La pace nasce negli occhi, e nelle parole, di chi guarda e parla. E quelli studenti erano attenti alle parole, eccome. Solo che per loro certe parole hanno un significato diverso dal nostro di adulti, viceversa certe nostre altre sono incomprensibili, alcune altre sono inscindibili da musica e immagini e noi non ce comprendiamo a pieno le accezioni e la profondità, fermandoci in superficie.

Poi tornando a Siena, mi son letto il volume. E ho capito perché da anni faccio quel che faccio. Lavorare sulla lettura e la scrittura con i giovani. Lo faccio perché è assolutamente necessario. D’accordo, è cambiata la letteratura, perfino l’uso stesso che se ne fa, perché, citando il volume ‘è il perimetro stesso della scrittura che non coincide più con i confini dell’intellettuale-letterato, ma calamita nella sua orbita anche figure che provengono da altri settori, come quelli dello spettacolo, delle arti visuali, della musica e così via’. La lingua poi, è chiaramente stratificata tra livelli legati all’italiano che si parla sui media, espressioni dialettali e gergali, in alcuni casi da iniziati, e espressioni derivanti dalle lingue straniere.

D’accordo, alcuni non capiscono perché vi sia quello che qualche commentatore ha definito un inutile e modaiolo accanimento infantile dei boomer nel cercare di ringiovanire pensando di parlare il ‘giovanilese’.

Ma in realtà conoscere le parole e le fonti dell’espressione giovanile non è una moda, non è un rompicapo da boomer, ma è oggi assolutamente necessario. Vuoi per comprendere un segmento di popolazione che è determinante per le sorti di questo Paese, vuoi per entrare in relazione con le loro aspirazioni e i loro disagi (come si fa a farlo senza condividere delle parole, nuove o rinnovate nel senso che esse siano), vuoi per trovare punti di contatto tra le loro parole e le nostre di scrittori, giornalisti, insegnanti, genitori.

È come trovarsi davanti non ad una sola, ma a una molteplicità di Stele di Rosetta, ciascuna proveniente da un canale diverso (social, canzone, media, mainstream, fumetti, cinema e piattaforme indipendenti) ciascuna capace di traslitterare e codificare una diversa modalità di accesso alla lingua italiana. Ed è molto utile aprire gli occhi su questo mondo, o perlomeno provarci.

Non è facile, ma come dicevo necessario. In primis per chi coi giovani ha a che fare tutto il giorno, ad esempio gli insegnanti, che devono fare da ponte, anzi da porta di ingresso, sull’italiano colto, sull’italiano dei classici e dei saggi. È la scuola il luogo dove si viene a conoscenza della potenza creativa del linguaggio e della parola, ma anche di tutte le pressioni ambientali, storiche e normative cui l’italiano ha dovuto aderire e adattarsi nel tempo per diventare quello che è oggi, uno ‘standard’ di comunicazione. È a scuola, come del resto anche in altri contesti sociali e aggregativi, dove i giovani non devono essere intesi’ come portatori di un “italiano selvaggio”, ma come agenti dell’innovazione linguistica: un’innovazione di cui sono parte e della quale devono rendersi consapevoli per imparare a gestire in modo responsabile le proprie risorse comunicative ed essere invogliati a estenderle, in ampiezza e profondità

Insomma, una lettura che raccomando. Con un’avvertenza, che è quella, contro -intuitiva, di partire assolutamente prevenuti e scettici, per lasciarsi così ancor più conquistare dalla possibilità di conoscere altri punti di vista espressivi, e soprattutto l’affascinante fenomeno in presa diretta di una lingua in evoluzione. Se la lingua evolve, o quanto meno ci prova, vuol dire che si ritiene importante comunicare, che si ritiene ancora la parola un valore. D’altronde, non dobbiamo per primi noi avere chiusure e pregiudizi e così fare quello che imputiamo, in una visione un po’ stereotipata, ai giovani stessi: ovvero essere superficiali, chiusi in una bolla linguistica autoreferenziale e dominata dagli algoritmi.

Ma il viaggio non è finito, e termina a Sarzana, con le parole del civismo e della politica. Le parole servono anche li. E anche in questo caso i giovani le interpretano in modo sorprendente, (sorprendente in fin dei conti poi solo per chi dei giovani non conosce l’enorme potenziale) Se ne è interessata anche la stampa nazionale, perché è un fatto che in qualche modo travalica la politica. I media ne hanno parlato come di un’OPA dei giovani sul centrosinistra locale, visti i magri risultati conseguiti alle ultime elezioni, ma quel che interessa a chi scrive è la valenza generale delle parole usate da coloro che hanno firmato una lettera- manifesto all’attuale classe dirigente. ‘Oggi e soprattutto nel 2023 questo collettivo è chiamato ad assumersi le proprie responsabilità: ai giovani non si chieda di parlare solo “dei giovani” e“ai giovani”, ma di farsi carico di preparare il futuro, per tutti’. Sacrosanto in ogni campo. Questo non lo si può fare che usando parole, quelle giuste, che tutti possano comprendere e condividere, facendo uno sforzo inedito, da entrambe le parti, che il momento di profondo cambiamento sociale che stiamo vivendo richiede. Davvero.

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Questo Blog non serve a niente

Prof tanto mica la pubblica questa. Perché poi tanto non cambia niente. E poi se parlo ne esce un papiro. Qualche volta ho l’impressione, no anzi ne ho la certezza che è come il mio quattro a matematica. Il prof me lo ha appiccicato il primo anno di Liceo e ora che sono al quarto non ha cambiato idea minimamente. In compenso tutte le volte che mi interroga mi dice con un sorriso sadico da aringa surgelata che miglioro sempre. Miglioro sempre. Lo dice anche ai colloqui che ho fatto progressioni. Poi puntuale mi rimanda ogni estate. E non è che non studio, tutt’altro, ma è così e non cambia (tanto da farmi perdere la voglia). Non sa cambiare idea né modo di insegnare, e pensa che il mondo sia uguale a lui. E così è Siena per noi giovani. Tanto non lo pubblica mica no? Perché se capisce che è “dedicato” a lui….

Comunque parto da queste cose:

Il fatto che io sia giovane non fa di me un cretino

Il fatto che non compri un giornale non vuol dire che non sono informato (e che non legga online, tryhardando sugli articoli di commento che a volte mi sembrano scritti in codice invece che in italiano, ma sarà che anche io dell’italiano ne parlo un codice)

Il fatto che abbia i brufoli non mi rende cieco, i brufoli non mi coprono gli occhi e non mi crescono sulle orecchie o sulla lingua ma da altre parti.

Il fatto che io abbia diciassette anni e quindi non possa ancora votare (ma vorrei che si votasse a sedici) non fa di me un indifferente. Tra l’altro ci sono imprenditori adolescenti di successo (guarda il figlio di Briatore) come ci sono politici di successo che hanno iniziato da ragazzi la loro attività. E poi l’anno prossimo io ci vado a votare, anche solo per vedere com’è. Senza contare che io so che ci sono in Italia sindaci che hanno vent’anni e non sono peggio degli altri che sono più in là con l’età. Anzi.

Allora io Vi dico che questo blog non serve a niente. Niente. E ve lo dimostro, A meno che qualcuno non sia in grado di rispondere (affermativamente) a queste domande, che poi non sono nemmeno domande, sono cose che la gente pensa e non dice:

Siena non è una città per giovani. Ma c’è qualcuno che ha capito che quando si parla di giovani si dovrebbe parlare di giovani e non ragionare per categorie dell’ottocento. I giovani NON sono la famiglia, NON sono gli anziani, NON sono la scuola. Sono i giovani punto e basta. E sono sempre meno e sono sempre più con le valigie sotto al letto e lo zaino in spalla. Se ne vanno, ma poi non è che tornano. E a molti dispiace anche di farlo.

Siena e la Banca. Come mio nonno che me lo vuole sempre insegnare ma io il massimo che conosco sono le carte di Uno, mi pare che tutti, o quasi tutti, in città giocano a Tresette, si scrive così no?, (con il morto). Il morto è la Banca, BMPS: Bella si ma mancano Soldi. Ma c’è qualcuno che dice che il problema non è come dite Voi la città nel 2030. Ma la CITTÀ SENZA LA BANCA NEL 2030, perchè al massimo della Banca come dice mio nonno e di lui mi fido, ci rimane solo il marchio, come la Balzana.

Siena gli stage e i posti di lavoro: ma qualcuno ha fatto il conto di quante aziende (e di che tipo) sono rimaste a Siena. ZERO. E quelle nuove non bastano di certo a sostituire quelle sparite, dato che dove lavorava mio babbo facevano i servizi per una Banca ma ora non se li può più permettere. All’Università se guardo i piani di studio ci prepareranno per un mondo che se va bene inizia dopo l’Appennino, ma forse direi dopo le Alpi. Allora diversi dei miei compagni dicono che se le cose stanno così tanto vale andarsene subito

Siena e il turismo. Senti i giornalisti e pare che si lavorerà tutti nel turismo. Ma li avete visti i turisti che vengono in città o li vedo solo io? Tutti in branco fiondati fuori dal bus e ripresi dopo poche ore dall’altra parte che camminano veloce schivando altri bus e altri gruppi, scattando foto senza un minimo di criterio. Mi chiedo sempre se portano dei vantaggi ai negozi e ai locali in città, o solamente alle loro pagine Instagram o Facebook, io li vedo che escono con il telefono in una mano e il panino dall’altra. Come detto prima fanno foto a Piazza del Campo e se va bene al Duomo e al cinghiale in Via di Città e poi basta. Ha fatto più Wikipedro venendo da Firenze sotto Palio con quei video su Youtube per far conoscere Siena tra i giovani che tutti i programmi e siti e annunci degli ultimi anni. Ma Wikipedro è di Oltrarno, noi non c’abbiamo nessuno che può far questo? Perché non ci chiedete a noi di registrare dei video sui nostri quartieri, che mi pare a volte non li conosca nemmeno la gente del Comune? Penso sempre, ma quelli, i turisti intendo, ci entrano in qualche museo oppure no? O per caso finisce che i frequentatori dei musei che fanno statistica siamo solo noi che ci facciamo le giornate o le gite di un giorno. E questi musei, tipo il Santa Maria della Scala, in che condizioni sono? E poi, sono questi turisti che ci servono?. Intanto, noi se si deve vedere un concerto o qualcosa di interessante si comincia da Firenze, perché qui di spazi adatti e di alberghi adatti non ce n’è. Il massimo che ci tocca è “Il pagante”, il dj, che è venuto a Siena probabilmente perché aveva sbagliato strada e dedicandoci mezz’ora del suo “prezioso” tempo.

Le contrade: è una delle poche cose uniche e buone che abbiamo, ma non mi sembra che si faccia tanto come amministrazione per aiutarle. Fanno loro da sé, con risultati come possono, dato che secondo me non vengono loro dati fondi e spazio adeguati.

Lo sport: lasciamo perdere. Io nuoto e tra poco senza aiuti mi toccherà farlo nella vasca di casa, per non parare delle giovanili di molti sport, scomparse. Poi dicono che ci si annoia. Per forza tra poco ci sono rimasti solo gli e-sport

Ma alla fine non è mica solo la vostra generazione che ha paura di pronunciarsi su queste cose per tante ragioni. Noi poi non è che sotto sotto siamo tanto meglio. Si sta zitti. Come voi. Del resto manco in campagna elettorale si è vista gente che si incazzava o che era contenta nè delusa di chi vinceva. E chi dice che i nostri coetanei in Iran, in Brasile o in Russia o Ucraina sono più attivi, forse ha ragione. Solo che a noi non ci hanno insegnato nemmeno a protestare. SI insomma forse dovremmo fare noi qualcosa e se il Venerdi si va ai Fridays for future col treno e il bus, forse un altro giorno si dovrebbe fare la stessa cosa a Siena, per il futuro di questa città. Per farsi vedere. Perché ci siamo. Forse potremmo fare i Mercoledi per Siena: è giorno di mercato e sarebbe tempo speso bene. Io credo che se già ci vedessero, tanti in silenzio a sfilare per la città i politici o i futuri candidati qualche domanda se la farebbero.

E poi servono tanti quattrini: ma per tirarli in città da fuori ci voglio delle cose specifiche, dei progetti, della comunicazione. Io nei programmi che mi ha fatto leggere non ne vedo mezza di riga spesa per come e con quali canali raccogliere finanziamenti E se vado fuori Siena, e la mia ragazza è di Como e ci vado spesso fuori Siena, ci conoscono e male per il Palio e basta. E loro si invece che fanno comunicazione e destination management serio, lo so perché la mia ragazza ci lavora. Ma lo sa quanti posti di lavoro ci sarebbero a fare una cosa seria? Io si e voi?

Ripensandoci quasi quasi Prof se lo pubblica…

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“I Laggati”

Dopo i vitelloni, i figli dei fiori, gli yuppies, i laureati e gli sdraiati una nuova tipologia si affaccia sul mercato delle vacche delle categorie sociali: i laggati. È una categoria giovanile molto strana, questa. Il mondo li vede poco o punto. Mentre loro spesso giustamente invece lo vedono in perenne lagging. Soprattutto, vedono gli adulti intorno a loro muoversi a salti, con continui crash e rollback. Solo alcuni artisti, e certe piattaforme social o di gaming sembrano percepirli, spesso però sfruttandoli.

Quelli che hanno vissuto sin dall’infanzia il degrado del sistema scuola, e dalla quale sono stati fagocitati e poi espulsi. La scuola li ha disconnessi molto prima che lo facessero loro, mentre i genitori credevano di mandarli nelle stesse scuole che avevano frequentato loro, di cui spesso invece è rimasto solo il nome e il numero civico. Ma tanto non lo sanno perché loro per primi non partecipano più da tempo alla vita scolastica.

Quelli che lo stato si attende che a loro ci pensi la scuola, quella stessa scuola gestita come un Bancomat per vent’anni a cui si sono sottratte ogni anno risorse e competenze.

Quelli che dopo due anni in classi-stanza sono stati sbattuti in classi-ghetto o classi-pollaio.

Quelli che non leggeranno mai questo articolo, perché non ne hanno voglia o semplicemente perché pensano sia scritto da un boomer. Perché leggere, come si è permesso di scrivere qualcuno, è ormai un hobby da snob. Una specie di lusso.

Quelli che della Rete credono di essere utenti e padroni, e forse a volte è anche vero, ma certamente ne sono sempre il prodotto e la principale merce di scambio. Non è che non ne siano consapevoli, ma tanto… come capacità preventiva e legislazione, gli adulti sono grossomodo fermi al fax, e per giunta non gli offrono niente di meglio.

Quelli che i politici che sbarcano su TikTok gli parlano di pensione e non di lavoro, dimostrando di non capire proprio nulla di tutti e tre gli argomenti. Ma tanto…non votano o se votano lo fanno solo la prima volta, perché ce li mandano i genitori, un po’ come succede spesso con la messa e i sacramenti. Siamo un popolo di cresimandi e poi un attimo dopo atei di fatto.

Quelli che però sarebbe meglio si svegliassero, perché abitano in una città che non sa più esprimere né idee né candidati alle elezioni, visto che di questi, se si guarda alle liste per le politiche, uno solo è nato lì, e quindi si voteranno quelli imposti da fuori del territorio. E che quindi non conoscono il territorio e non gli frega nemmeno più di tanto di farlo.

Ai laggati i partiti dedicano forum e incontri, organizzati in luoghi dove loro non vanno mai, in orari dove sono spesso impegnati con la scuola e dove il pubblico è formato sistematicamente da ultra cinquantenni. Che parlano di giovani.

I laggati possiedono tante informazioni ma nessuno gli ha parlato del valore della formazione. E della curiosità.

I laggati hanno sopportato due anni di pandemia, spesso passati davanti a un muro e a uno o due schermi, anche tre se si conta il telefono, ad ascoltare lezioni in perenne lagging per via di collegamenti fatiscenti che fanno venire nostalgia per il piccione viaggiatore, anni spesi a far da padre e madre a genitori addirittura più in difficoltà di loro e ad ascoltare docenti e lezioni vetuste.

I laggati vivono l’attuale feudalesimo della cultura e dei valori, gli uni e gli altri atomizzati, relativizzati, stereotipati e ridotti a bolla informativa autoreferenziale e autorassicurante, insaporita al gusto Xanax.

I laggati quando appaiono sui giornali è perché sono ‘devianti’ in modo ‘penalmente o non penalmente rilevante’. Ma pochi o nessuno approfondisce da chi o da che cosa deviano. E che la devianza non sarà sempre penalmente rilevante ma lo è di sicuro in ogni caso socialmente.

Quelli per cui la trasgressione non esiste, perché per trasgredire ci vogliono due cose che non ci sono più o ci sono molto meno: delle regole o dei valori universalmente condivisi da infrangere e gente più anziana che per la trasgressione si incazza (ma per incazzarsi non dovrebbe essere a sua volta socialmente indifferente o peggio sociopatica).

Quelli che dialogano più con gli algoritmi che con gli esseri umani. Ma non è mica colpa loro. Gli algoritmi inoltre rispondono sempre e si mostrano sicuri e rassicuranti.

Quelli che vivono in provincia, dove la gente crede che solo per questo tutto vada meglio ‘perché è ancora a misura d’uomo’, ‘perché c’è ancora la solidarietà sociale’ e ‘perchè la vita è sana, mica come in città’. Ma mentre lo dicono non hanno la minima cognizione di che cosa sia oggi la’ misura d’uomo’.

Quelli che vivono in una città incancrenita dai vecchi clichè e che conosce il concetto di tradizione ma non capisce che dovrebbe familiarizzarsi anche con quello di transizione e preferisce andare a fare cenini e festini negli stessi localini e investire in case in montagna e soprattutto al mare ‘sennò in città non sei nessuno’.

I laggati vengono osservati da Osservatori giovanili, scrutati da Osservatori universitari, compatiti da Osservatori sociali che passano i riassunti dei loro studi agli Osservatori giornalistici che altrimenti non li leggerebbero, quelli blanditi da Osservatori politici infine e messi nel mirino da unghiuti osservatori commerciali.

I laggati dai boomer sono spesso anche presi per il culo, perché non si impegnerebbero, non sarebbero disponibili a lavorare a gratis. E loro invece lo farebbero anche. Si, ma non per tutta la vita

I laggati sono quelli che i genitori se sono presenti sono spesso amici, a volte addirittura competitor nelle relazioni sociali. I laggati sono anche quelli che pagherebbero per incassare da loro almeno ogni tanto un ‘no’, motivato, invece che una sfilza di ‘si’ scontati e menefreghisti.

Quelli che le istituzioni devono fare rete per parlare con loro, per incontrarli nelle scuole che non frequentano e comunicare con loro su media che non seguono. Mai nessuno che vada nelle periferie, nelle discoteche, sulle panchine davanti a un bar. E parli con loro…

Quelli che lo stato incasella in alternanza scuola lavoro ovvero alternanza banco-fotocopia-infermeria (o peggio), in progetti di formazione e recupero sempre uguali e spesso poco aggiornati se on pericolosi o addirittura mortali.

Quelli che vedono sempre davanti a sé regole fissate in contraddizione tra di loro e sterili come slogan pubblicitari rinseccoliti del tipo: investi nel tuo futuro-ma tanto non ci sarà futuro perché tutto si scioglierà come i ghiacciai o fonderà sotto una bomba termonucleare; protesta – ma non rompere troppo i coglioni; impara un mestiere- ma tanto poi lo cambierai presto o ti dimetterai; studia e paga le tasse in Italia, ma poi vai a lavorare all’estero; etc etc.

I laggati mica vorrebbero essere tali. Ma se si aspetta dell’altro, si rassegneranno. Loro però ancora sperano in una nuova connessione con la vita, una molto più veloce e affidabile, una società a banda larga, anzi larghissima, sperano di connettersi e scaricare da essa parole oggi rivoluzionarie come speranza, inclusione, dialogo, pensiero, civismo, futuro, progettazione.

Noi speriamo nei vostri upload di idee e proposte.

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Piccolo dizionario politico degli orrori

Riscrivere Siena vuol dire anche confrontarsi con le parole della politica e riformularle in un modo migliore.

Tanti pregiudizi sulla politica e sull’impegno civico sono vecchi come il mondo.

Sentite cosa diceva Ambrose Bierce nel suo ‘Dizionario del Diavolo’ del 1882

ELETTORE Chi gode del sacro privilegio di votare l’uomo scelto da un altro.

POLITICA Conflitto di interessi mascherato da lotta di principi. Conduzione di affari pubblici per un vantaggio privato

POLITICO Anguilla che striscia nel fango su cui poggia la sovrastruttura dell’organizzazione sociale. Quando si dimena scambia i movimenti della sua coda per il tremito dell’edificio. Paragonato allo statista, ha il difetto di essere vivo.

VOTO Strumento e simbolo del potere che un uomo libero ha di rendere se stesso ridicolo e il suo Paese un relitto

Possiamo reagire e riscrivere queste (e altre) voci del ‘Dizionario della politica’ in chiave più ottimistica?

Cosa vorreste che queste parole significassero davvero per Voi?

Mandateci le vostre definizioni

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I Giovani (non) sono tutto un programma

Sailing to Bysantium (Navigando verso Bisanzio)

Quello non è un paese per vecchi.

I giovani l’uno nelle braccia dell’altro, gli uccelli sugli alberi –

Quelle generazioni morenti – intenti al loro canto,

Le cascate ricche di salmoni, i mari gremiti di sgombri,

Pesce, carne, o volatili, per tutta l’estate lodano

Tutto ciò che è generato, che nasce, e che muore.

Presi da quella musica sensuale tutti trascurano

I monumenti dell’intelletto che non invecchia.

I Giovani (non) sono tutto un programma

Nei programmi delle principali forze politiche in vista delle elezioni nazionali il panorama è desolante. Al mondo giovanile spettano solo le posizioni di rincalzo. E le briciole di testi che cubano pagine e pagine.

Per lo più il giovane –tipo che le forze politiche hanno in testa è bisognoso di pacchetti preconfezionati e precotti, come quelli delle crociere e delle offerte turistiche. Peccato che almeno in queste ultime ci sia davvero dietro uno studio e una variabilità di offerte e contenuti che nelle proposte e nei programmi non c’è. Non mancano solo le idee, manca il progetto.

Si va dal Pacchetto ‘Un Paese per giovani’ (ma questo bellissimo libro con il titolo del quale tutti fanno triti e ritriti giochi di parole ‘ Non è un paese per vecchi’ in quanti lo hanno letto davvero?) alla vaghissima ’ Valutazione dell’impatto generazionale delle leggi e dei provvedimenti a tutela delle future generazioni’ per finire con il Progetto Pensione per i giovani che hanno lavori intermittenti.

L’idea che emerge è quella di un giovane-tipo destinato ad un conclamato futuro da precario ed eterno startupper, via crucis che lo scorterà fino a una fantomatica pensione anch’essa precaria, che potrà aspirare, se è molto fortunato, a fare l’artigiano e l’agricoltore e ad avere una infarinatura sulle discipline STEM ( science, · Technology, · Engineering e · Mathematics) in una scuola altrettanto –tipo che non si sa con quali risorse diventerà, restando sempre aperta, il faro del progresso e del civismo sociale, il luogo dove mediare ogni problema e risolvere ogni questione. Peccato che per carenza di risorse e personale, o per semplice sfiducia nel prossimo, si vada nella direzione opposta e, appena calata la sera o anche in pieno giorno, tutti o quasi in questo Paese chiudano le porte, chiese incluse. Non una parola:

  • Sul valore della conoscenza di base e umanistica (necessari a valorizzare un matrimonio culturale unico al mondo ma che si conosce più all’estero che in Italia stessa): i giovani dovrebbero vedere garantito per legge il loro diritto di pensare e approfondire la conoscenza di argomenti e materie anche apparentemente (solo apparentemente) ‘improduttivi’;
  • Sulla necessità di favorire luoghi e competenze di ascolto, inclusione e ritrovo nei centri come nelle periferie; in una parola, su come costruire una società fondata sulla fiducia e sul dono (di sé stessi e dei propri mezzi), e non sul cinismo e sul disimpegno;
  • Sulle modalità per favorire l’accesso dei giovani alla politica e alle istituzioni (una piccola idea: tenere riunioni e sedute delle istituzioni locali in luoghi e orari accessibili ai giovani)
  • Su come finanziare l’ammodernamento di scuole, istituti, università;
  • Sul valore della lettura, della scrittura e della valorizzazione delle potenzialità espressive;
  • Su come evitare la dispersione scolastica;
  • Su come evitare la dispersione post scolastica ovvero l’emigrazione di risorse formate per anni dal nostro sistema scolastico al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro;
  • Su come anticipare efficacemente (e non con progetti di alternanza spesso vaghi e inconsistenti) l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro

Che ne pensate?