

di Laura Del Veneziano
Oratorio parrocchiale, sabato pomeriggio: giungono distintamente schiamazzi dal campo di calcetto per la partita in corso, poco distante un ristretto gruppo di quattordicenni obiettivamente troppo poco vestite si dilettano in un balletto di gruppo davanti allo schermo di un cellulare… proprio di fronte a loro un altro gruppetto misto con qualche anno in più. Sono seduti sul muretto che delimita il giardino. Mi fermo ad osservarli: ognuno ha in mano il suo smatphone, a tratti parte una sonora risata che contagia gli altri e induce qualcuno ad accostarsi a qualcun altro per sbirciare lo schermo e rinvigorire ancora di più la risata. Ad un certo punto da uno dei cellulari parte una musica ad alto volume e alcuni di loro iniziano a cantare accennando i movimenti del trapper di moda, poi tornano a sedersi.
“Maranza… cringe… nabbo… tech…” sono alcune delle parole che si rincorrono nel loro linguaggio mescolate, in un modo per me quasi incomprensibile, a quelle della lingua italiana.
È curioso, mi viene quasi da sorridere per il fatto che questo momento di vita quotidiana in un luogo così semplice mi faccia sentire fuori dal mondo. Dal loro punto di vista sono una boomer anche se per anno di nascita rientrerei nella categoria che si è guadagnata l’appellativo di generazione x la cui definizione è spaventosamente triste… quindi se posso scelgo volentieri boomer… molto meglio!!!
Questi giovani sono il nostro futuro, il domani dell’umanità, mi rendo conto di quanto il giudizio adulto potrebbe facilmente cadere nella trappola dell’etichettamento di fronte alla scena che ho davanti a me. Ma in fondo cosa stanno facendo questi giovani? Perché la loro attenzione è attratta più dagli schermi che dall’altro? Perché stanno qui fuori al freddo piuttosto che a casa di qualcuno a fare una qualunque cosa insieme? Perché sembrano non parlarsi? Comunicano? E perché parlano così?
Poi, da vera boomer ripenso ai giovani dei miei tempi, ai gruppi di ragazzi seduti sullo stesso muretto circa 30 anni fa: le carte da gioco, lo walkman sempre a portata di mano… cori e sfottò che potevano scattare all’improvviso quando meno te lo aspettavi e addirittura, se si era abbastanza certi di non essere visti, qualcuno poteva tirar fuori una sigaretta rubata dal pacchetto dei genitori… se poi scattava l’idea di fare l’ennesimo scherzo telefonico dalla cabina il divertimento era assicurato e le risate nell’aria sarebbero state del tutto simili a quelle dei ragazzi di oggi.
Cosa hanno di diverso queste immagini se le confrontiamo? L’intento è lo stesso: divertirsi. Cosa cambia? Il modo? No! Direi più precisamente il mezzo…
Gli smartphone creano dipendenza e limitano la comunicazione tra i giovani. Ha un senso e soprattutto la questione della dipendenza da dispositivi elettronici non è certo una questione da prendere sottogamba visto i rischi che può comportare. Ma 30 anni fa stavano pomeriggi interi a giocare a “Prince of Persia” o a “Super Mario” incollati alla Nintendo. Era diverso? Era meglio?
Forse è bene riflettere sul fatto che la posizione di chi giudica è indubbiamente quella più facile, ma è utile? I ragazzi di oggi sono attratti da ciò che è proibito: verissimo, come quelli di 30- 40 e 50 anni fa.
Credo che la strada migliore per comprendere i moderni fenomeni di socializzazione, sia per gli addetti ai lavori (psi-qualcosa, insegnanti, educatori, animatori..) ma anche per i genitori sia sostituire il giudizio con il ricordo, scambiando le nostre esperienze con quelle dei giovani contemporanei e partecipare e lasciarsi coinvolgere di più del loro stile di vita con reale curiosità.
di Laura Del Veneziano
Ho letto i primi due articoli di questo blog, premetto che non sono di Siena, ma molte delle cose che ho trovato possono essere riportate pari pari ad altre realtà più o meno grandi ed in verità anche alla mia. Quindi mi è venuta voglia di scrivere.
La prima cosa che mi sono ricordata mentre scorrevo le pagine è l’intervista di Davide Calgaro, un giovanissimo comico italiano, rilasciata a Vanity Fair ormai un po’ di tempo fa, per chi avesse voglia di leggerla si trova tranquillamente facendo una ricerca sul web. L’intervista si intitola “Per capire l’Italia andate nell’area cani”. I temi che Calgaro affronta sono, manco a dirlo, alcuni di cui leggo nel blog e gli stessi di cui spesso mi raccontano i ragazzi che vengono a parlare con me.
Il divario tra generazioni è dilagante in tutta la nostra società e crea etichette, ambiguità, modi di dire, incomprensioni e soprattutto distanza! Come esseri umani ci stiamo allontanando da quello che di più umano abbiamo raggiunto e costruito nei secoli: i rapporti e le relazioni con gli altri, l’essere esseri sociali. Non mancano i contatti o i legami fra le persone, ma non sono comunque caratterizzati dalla distanza? La rete ci permette di re-stare in contatto (appunto) con una persona dall’altra parte del mondo ma non mette ad una certa distanza chi abbiamo intorno? Distanza fisica se pensiamo ai citati e-sport o ai game on line che oggi vanno alla grande, ma allo stesso tempo anche distanza emotiva… distanza di ideali, distanza di pensiero e spesso anche di opinioni che poi è un attimo e naufraga tutto in critica, (pre)-giudizio…
Abbiamo perso il confronto? Abbiamo perso l’ascolto? O ci sono venute a mancare possibilità di confronto e ascolto? Ma poi quando ne sentiamo la mancanza di queste cose, cerchiamo di ritrovarle? Come?
Ci sono alcune domande che mi girano in testa e che ho voglia di rilanciare dopo aver letto questi articoli: come si impara a protestare se nessuno ce lo ha insegnato? E perché qualcuno dovrebbe insegnarcelo? Non possiamo inventare un nuovo modo di protestare? È possibile farlo?
Da chi o che cosa ci sentiamo davvero deviati? La parola devianza non ha forse una parte di significato comune con la parola distanza? E infine contatto può essere una nuova parola rivoluzionaria?
Chissà se le cose che lasciamo in questo blog ci guideranno verso qualche risposta… di sicuro ci aiutano a riflettere e a far circolare le nostre riflessioni.